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DOMENICA 24 MARZO 2013 Vangelo Luca 19,35-40; 22,39-46; 23,44-49
Vangelo di Luca
24/03/2013
DOMENICA 24 MARZO 2013
LA CROCE E L’ULIVO
Vangelo Luca 19,35-40; 22,39-46; 23,44-49
Allora portarono il puledro da Gesù. Poi lo coprirono con i loro mantelli e vi fecero salire Gesù. Man mano che Gesù avanzava, la gente stendeva i mantelli sulla strada davanti a lui. Gesù scendeva dal Monte degli Ulivi ed era ormai vicino alla città. Tutti quelli che erano suoi discepoli, pieni di gioia e a gran voce si misero a lodare Dio per tutti i miracoli che avevano visto. Gridavano: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore: egli è il re! Pace in cielo; Gloria a Dio”. Alcuni farisei che si trovavano tra la folla, dissero a Gesù: “Maestro, fà tacere i tuoi discepoli!”. Ma Gesù rispose: Vi assicuro che se tacciono loro si metteranno a gridare le pietre”.
Come faceva di solito, Gesù uscì e andò verso il Monte degli ulivi, e i suoi discepoli lo accompagnarono. Quando giunse sul posto disse loro. “Pregate per resistere al momento della prova”. Poi si allontanò da loro alcuni passi, si mise in ginocchio e pregò così: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice di dolore. Però non sia fatta la mia volontà, ma la tua”. Allora dal cielo venne un angelo a Gesù, per confortarlo; e in quel momento di grande tensione pregava più intensamente. Il suo sudore cadeva a terra come gocce di sangue. Quindi, dopo aver pregato, Gesù si alzò e andò verso i suoi discepoli. Li trovò addormentati, sfiniti per la tristezza e disse loro: “Perché dormite? Alzatevi e pregate per resistere al momento della prova”.
Verso mezzogiorno si fece buio per tutta la regione fino alle tre del pomeriggio. Il sole si oscurò, e il grande velo appeso nel tempio si squarciò a metà. Allora Gesù gridò a gran voce: “Padre, a te affido la mia vita”. Dopo queste parole morì. L’ufficiale romano, vedendo queste cose, rese gloria a Dio dicendo: “Egli era veramente un uomo giusto!”. Anche quelli che erano venuti per vedere lo spettacolo, davanti a questi fatti se ne tornavano a casa battendosi il petto. Invece gli amici di Gesù e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea se ne stavano ad una certa distanza e osservavano tutto quello che accadeva.
In questa domenica diversamente indicata: delle palme, degli ulivi, della passione, si vive la memoria di Gesù di Nazareth vittima fra le vittime, crocifisso fra i crocifissi della storia: persone, comunità e popoli (Vangelo di Luca 22,14-23,56). L'ulivo, simbolo di pace e la croce non si contrappongono, tutt'altro; si richiamano e trovano reciprocamente significato nella vita di Gesù e nelle nostre vite. Gesù entra nella città di Gerusalemme sul dorso di un puledro d’asina, acclamato dalla folla, non come chi invece entra con i cavalli, i carriaggi e le lance per occupare e dominare la città e assoggettarne gli abitanti; Gesù entra come profeta della nonviolenza attiva e costruttore di convivenza e di pace, a servizio quindi della città e dei suoi abitanti. L'atteggiamento della folla è ambivalente, come sempre accade nella storia...
Vivere la memoria dell’entrata di Gesù a Gerusalemme come profeta di pace, tenendo in mano il ramoscello di ulivo per poi portarlo nelle case e in altri luoghi, significa ricevere la pace come dono di Dio e assumerla come nostra piena responsabilità nella storia. E’ dono del Dio di Gesù di Nazareth che è passato facendo il bene, costruendo la pace con le sue parole e i suoi gesti di accoglienza, ascolto, perdono, superamento dell'inimicizia, liberazione dalla logica del potere, fratellanza. E’ dono del crocifisso, risorto, vivente oltre la morte; un dono che provoca alla responsabilità come si impara anche dall'enciclica "Pacem in Terris" di Papa Giovanni XXIII di cui ricordiamo il 50º anniversario (11 aprile, giovedì Santo 1963). La pace è da costruire in ogni luogo della terra, perché riguarda tutte le donne e tutti gli uomini, ed egualmente la Madre Terra e tutti gli esseri viventi, l'intero eco-sistema; è da costruire quotidianamente senza alibi e senza rinvii: liberandosi da inimicizie, vivendo rapporti significativi di accoglienza e fratellanza; impegnandosi per la progressiva e verificabile riduzione della fabbricazione e del commercio delle armi; ancora, liberandosi dall'errata convinzione che le guerre siano lo strumento per la risoluzione dei conflitti, mentre provocano solo morti, feriti nel corpo, nella psiche e nell'anima; distruzione dell'ambiente vitale; scavano fossati di inimicizia fra i popoli.
La pace annunciata e praticata da Gesù è un'autentica rivoluzione del cuore, delle coscienze, delle istituzioni, della politica, della religione, dell'immagine e della concezione di Dio e del rapporto con Lui. La reazione dei rappresentanti della religione del tempio, dei sacerdoti; dei garanti dell'ortodossia e della legge passa via via dal sospetto, alla critica sempre più serrata, all'opposizione, alla decisione dell'arresto, al processo farsa e alla condanna a morte.
Gesù viene ucciso come un malfattore accusato di magia, disubbidienza e bestemmia, consegnato al procuratore di Roma come un sobillatore, chiedendone l'esecuzione capitale. Il dono della pace è di Gesù martire, crocifisso e risorto, vivente oltre la morte. La pace vera passa attraverso la dedizione totale della vita per gli altri, nell'esperienza della dura contrapposizione con i poteri di questo mondo. La folla oscillante di fronte a Gesù vittima, in gran parte appoggia il potere che si regge sulla menzogna e si esprime nell'oppressione e nella violenza. Gesù vive il dramma del Getsemani, l'agonia, cioè il dibattito interiore per la solitudine, l'abbandono, il senso di fallimento: si stanno attuando la menzogna, la violenza con le armi, il tradimento dell'amicizia, su di lui che ha annunciato e praticato la verità, la nonviolenza attiva, l'amore, l'accoglienza; e insieme vive la paura della violenza imminente che dovrà subire; se fosse possibile allontanare quel calice così amaro; ma la fedeltà alla sua missione lo conduce ad affidarsi e a continuare: questo è il senso profondo del dialogo intenso e sofferto con il Padre. Dopo la tortura della flagellazione, l'incoronazione di spine, l'irrisione dei soldati, le umiliazioni da parte dei sacerdoti e delle altre autorità del popolo e della gente comune; dopo il cammino doloroso verso il luogo dell'esecuzione, viene crocifisso e innalzato fra cielo e terra; ferito in modo impressionante, prostrato e desolato, abbandonato da quasi tutti (eccetto un gruppo di donne fra cui la madre Maria e Giovanni, l'unico dei discepoli), deriso dalle autorità e dalla gente, vive il dramma di sentirsi fallito e abbandonato e il dubbio dell'abbandono da parte di Dio, del Padre stesso. È da questo abisso che lo interroga per affidarsi a lui. L'onnipotenza di Dio è nella dedizione totale del Crocifisso. La pace passa attraverso la croce.
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