Nella nostra società da una parte si riscontra una evidente attenuazione dei riferimenti religiosi espliciti, dall’altra si notano forti aggregazioni nei momenti religiosi, da un’altra ancora emerge un interessamento alla spiritualità, alla ricerca della sua presenza e dei suoi significati, come testimonia la crescita della lettura di libri che riguardano la fede; da un’altra ancora si nota il consumo di una religione occasionale in determinati momenti della vita, senza coinvolgimento nella scelte personali; da un’altra ancora si coglie un coinvolgimento nella fede profetica che porta a scelte di coerenza nella vita e nella storia. In questa situazione di cui solo si sono accennate le differenze, quali sono le dimensioni autentiche, costitutive, permanenti? Quali le sovrastrutture che si sono costruite lungo la storia in nome di Dio, mentre erano solo un rafforzamento del potere umano? Se è vero che si attua sempre un’incarnazione della fede nella storia, lo è altrettanto che alcuni condizionamenti storici sono troppo contingenti e limitanti. Nella situazione così complessa è arduo parlare di tradizione rispettata, criticata o negata dato che, tante volte le tradizioni sembrano dissolte ; d’altra parte anche l’uomo secolarizzato, tecnicizzato, compiuterizzato, ricorre, magari di nascosto, senza lasciarsi vedere, a forme di tradizioni e di rituali, alle volte anche costosi – per cercare illusorie sicurezze. È comunque da ribadire come simboli e riti siano dimensioni fondamentali e costitutive delle culture e delle fedi religiose. Il Vangelo di questa domenica (Marco 7,1- 8. 14 – 15. 21 -23), pone la questione dell’ubbidienza o della disubbidienza alla tradizione religiosa. I farisei, scrupolosi osservanti della legge, criticano i discepoli di Gesù perché mangiano con mani impure, senza averle lavate secondo l’uso religioso. E appunto pongono la questione della continuità, del rispetto, dell’ubbidienza alla tradizione. Ma in questo caso a che cosa? Per loro non si tratta solo di un’usanza igienica ma del riferimento al culto religioso; quindi della loro stessa religiosità. Ma una fede religiosa autentica può ridursi a queste osservanze? No, dice Gesù, che li accusa di ipocrisia, cioè di dimostrare dimensioni e convinzioni che non corrispondano a realtà; e poi cita un passaggio straordinario del profeta Isaia:” Questo popolo mi onora a parole, ma il suo cuore è molto lontano da me. Il modo con cui mi onorano non ha alcun valore perché insegnano come dottrina di Dio comandamenti che sono fatti da uomini”: Ci può quindi essere un onore formale a Dio: a parole, con la assistenza a cerimonie religiose, con l’adesione ancora formale a posizioni ideologiche di presunzione, di chiusura e di durezza, intrise non di fede, ma di religione formale, anzi di clericalismo che riguarda egualmente i preti, i religiosi e non. Queste considerazioni conducono a scrutare, a perlustrare la profondità del nostro essere dove si vivono sensazioni, emozioni, decisioni espressioni in parole e gesti. Dice Gesù: “ Niente di ciò che entra nell’uomo dall’esterno può farlo diventare impuro. Piuttosto, è ciò che esce dal cuore che può rendere impuro un uomo…Infatti dall’intimo, dal cuore dell’uomo escono tutti i pensieri cattivi che portano al male”. Si aprono chiaramente l’analisi e la riflessione sul rapporto fra persone e ambiente, fra sensibilità del cuore, apertura della mente e possibili condizionamenti, da parte di persone, situazioni e immagini, mezzi di informazione e televisione soprattutto, che veicolano modi di pensare e di agire più umani e disponibili, segnati da spiritualità, profondità, cultura, dedizione agli altri e bene comune o al contrario, come così spesso avviene, egoisti, chiusi, gretti, materialisti, ipocriti. Ne deriva una grande responsabilità per noi tutti a favorire la formazione di coscienze di qualità umana e a nutrire la fiducia ragionevole che noi donne e uomini possiamo esprimerci con scelte, parole e gesti che escono dai condizionamenti dell’ambiente, con la forza dello spirito, della libertà, della responsabilità.