Nella nostra esperienza umana in generale, con riferimento particolare in questo commento al Vangelo alla dimensione della fede, noi riconosciamo la presenza e l’importanza particolari di alcune persone: donne e uomini, genitori, familiari; amici; insegnati, preti; li riconosciamo in qualche modo maestri per la nostra vita; alcuni sono vivi, anche fisicamente fra di noi; altri non lo sono, ma sentiamo che continuano a vivere nel Mistero di Dio e ad accompagnarci nella nostra vita. Qual è la motivazione di questo nostro riconoscimento e riferimento? E’ la coerenza, il rapporto riscontrato nella loro vita fra le parole e le scelte, fra le dichiarazioni e le opere. Per questo consideriamo la loro autorevolezza e la loro esemplarità che ci istruiscono proprio riguardo al senso profondo e alle dimensioni portanti: il bene, la giustizia, la verità, l’onestà, la rettitudine, la disponibilità agli altri, umile, gratuita, perseverante.Tante di queste persone non sono conosciute se non da chi le ha frequentate; altre lo sono maggiormente; altre ancora esprimono una esemplarità riconoscibile da tutto il Pianeta. Si possono indicare, in modo esemplificativo, i nomi di Francesco d’Assisi, di Gandhi, di M.L. King, di Madre Teresa di Calcutta…Ma di fatto, sono una moltitudine di persone che hanno vissuto e vivono “una santità primordiale”, che cioè parlano con la loro vita e comunicano luce, forza positiva, amore, bene tutt’intorno.Il riferimento quindi è alla coerenza nella vita, non alle verità, alle leggi, alle ritualità considerate in modo dogmatico e che per questo chiedono obbedienza e disciplina formale.Il Vangelo di questa domenica (Matteo 23,1-12) ci aiuta a smascherare l’incoerenza fra il dire, il rappresentare e l’operare.Gesù si rivolge ai maestri della legge e ai farisei. I primi studiavano, fino a conseguire il diploma, la legge ebraica, la Torah, cioè tutto “l’impianto spirituale”, etico, legale, per esprimere la fedeltà a Dio.In particolare, nel giorno di sabato, nelle sinagoghe la spiegavano alla gente riunita per l’istruzione religiosa e la preghiera. I farisei scrupolosi osservanti della legge, ne ribadivano l’importanza fino all’ossessione.Alla folla e ai discepoli Gesù dice: “I maestri della legge e i farisei hanno l’incarico di spiegare la legge di Mosè. Fate quello che dicono; ubbidite ai loro insegnamenti, ma non imitate il loro modo di agire: perché essi insegnano, ma poi non mettono in pratica quello che insegnano”. Questa dissociazione dalla vita, dalla storia, dalle storie delle persone è evidenziato ancor maggiormente dalla seguente osservazione: “Preparano pesi impossibili da portare e poi li mettono sulle spalle degli altri: ma da parte loro non vogliono muoverli neppure con un dito”.Certamente ciascuna e ciascuno dobbiamo iniziare chiedendo coerenza a noi stessi, nello stesso tempo consideriamo come l’istituzione religiosa se parla dall’alto e non si converte in comunità di persone che camminano, cercano, si sostengono reciprocamente, rischia di attuare in continuità questo autoritarismo che chiede obbedienza e non prevede libertà, dialogo, confronto, pesi da portare insieme.Gesù in modo diretto, inequivocabile, denuncia il loro arrivismo, la loro autoreferenzialità, la loro bramosia di apparire come grandi, importanti, superiori agli altri, con l’aggravante della motivazione religiosa per cui “sulla fronte portano le parole della legge più grandi del solito e le frange dei loro mantelli sono più lunghe di quelle degli altri”, e questo per esibire uno straordinario attaccamento alla parola di Dio.E ancora Gesù denuncia il loro desiderio di primeggiare negli incontri e nelle piazze, nei banchetti, nelle sinagoghe, di ricevere saluti di riverenza e ossequio.Tutto questo distrugge l’uguaglianza, la pari dignità, la fraternità. “Non fatevi chiamare capi, maestri, padri,…” perché uno solo è il Padre a cui si ispirano i padri; uno solo è il Maestro da cui tutti impariamo; uno solo il capo da cui apprendiamo il servizio umile e disinteressato agli altri: il più grande nella comunità infatti è colui che è disponibile, che serve il bene comune.Coerenza quindi, da parte nostra, della Chiesa tutta; liberazione finalmente dai titoli di sua santità, eminenza, eccellenza, monsignore; da vestiti di altri tempi; vita semplice e sobria nei modi e nei mezzi.Appunto: non l’autoritarismo dottrinale e disciplinare, ma l’autorevolezza della coerenza e del bene.