Ciascuna e ciascuno di noi può raccontare una o più esperienze che hanno segnato la vita in modo del tutto particolare, anche decisivo. Esperienze di amore e di amicizia, la nascita di un figlio; momenti di profondità spirituale, di contemplazione rivelativa; esperienze di malattia e di sofferenza; di sconferme brucianti dell'amore, dell'amicizia, della fiducia, della disponibilità e della dedizione; di morte di persone care e amiche.Ancora una volta si riscontra che queste esperienze significative appartengono soprattutto alle relazioni e si riferiscono a quelle aperture, a quelle rivelazioni di aspetti, dimensioni, profondità fino a quel momento non intuite, non percepite, non conosciute, attribuendo a questo termine una valenza non solo razionale, né solo emotiva, bensì globale, comprendente tutte le possibilità del cuore e della ragione.Si tratta della trasfigurazione di noi stessi, dell'altro, della nostra immagine e percezione di Dio, della vita, dell'amore e dell'amicizia, della malattia, del dolore e della morte; cioè dell'andare oltre la figura già conosciuta e fino a quel momento ritenuta "normale"; e cogliere appunto aspetti, profondità, dimensioni prima non intuite e non conosciute.A questa riflessione contribuisce in modo del tutto speciale e significativo la meditazione del Vangelo di questa domenica (Marco 9,2-10) che ci racconta la trasfigurazione di Gesù sul monte. Gli elementi narrativi quali il monte, il cambiamento dell'aspetto e delle vesti di Gesù, la nube, la presenza di Elia e Mosé, la voce, stanno ad indicare che quel giorno, in quel luogo è stata vissuta un'esperienza del tutto speciale e intensa di Dio; i tre discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni, chiamati dal Maestro a seguirlo sul monte hanno percepito in modo più chiaro la presenza di Gesù come figlio, come rivelazione di Dio nella storia.E questo perché è stato per loro possibile andare oltre l'aspetto, le immagini, le parole e i gesti quotidiani, consueti di Gesù. "Là di fronte a loro, Gesù cambiò d'aspetto: i suoi abiti diventarono splendenti e bianchissimi. Nessuno in questo mondo avrebbe potuto farli diventare così bianchi a forza di lavarli". Sul monte sono presenti anche Elia e Mosé: il primo, profeta dell'autenticità della fede, per questo perseguitato dal potere e fuggiasco; prostrato e poi ravvivato dall'incontro con Dio nella brezza leggera sul monte Oreb; Mosé, il leader del cammino della liberazione, profeta in parole e gesti, anche incompreso; giunge a guardare la terra promessa ormai vicina. Elia e Mosé esprimono con la loro presenza la ricchezza del patrimonio della memoria storica e religiosa; Gesù comunica la continuità con la corrente calda e luminosa della profezia e insieme la discontinuità come novità radicale della relazione con Dio e con il prossimo oltre ogni barriera e discriminazione.Pietro si fa interprete del vissuto dei tre nel quale si mescolano sorpresa, paura, incredulità, benessere nel senso pieno della parola: "Maestro, è bello per non restare qui! Prepareremo tre tende: una per te, una per Mosé e una per Elia". Dalla nube, segno della presenza di Dio, si fa sentire una voce: "Questo è il figlio mio, che io amo. Ascoltatelo!”. Questa indicazione è rivolta a quell'uomo che viene da Nazaret e che, dopo il momento speciale dell'illuminazione, i discepoli vedono nella sua solitudine umana. "I discepoli si guardarono subito attorno, ma non videro più nessuno: con loro c'era solo Gesù". Le trasfigurazioni ci fanno percepire la profondità rispetto ad una presunta conoscenza della "normalità"; questa per essere vissuta con umanità ha bisogno dei momenti di trasfigurazione per non cadere prigionieri della consuetudine, della presunzione, del fatalismo, della rassegnazione, degli stereotipi, delle rozzezze, discriminazioni e violenze di diverso genere. La luce, il calore, la profondità delle esperienze di trasfigurazione diventano quel patrimonio interiore a cui poter attingere nei momenti di contraddizione, isolamento, abbandono, tristezza, sfiducia. Per questo, Gesù, scendendo dal monte "ordinò ai discepoli di non raccontare quello che avevano visto, prima che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti". I discepoli ubbidiscono, ma si chiedono il significato di quelle parole che mettono in rapporto morte e vita. Hanno sperimentato la luce e la vita per essere aiutati nei momenti di durezza e difficoltà, di oscurità e di morte..