Come spesso si evidenzia, le relazioni sono la dimensione fondamentale della nostra vita, della nostra storia di persone. Le situazioni vissute da piccoli, da bambini, da adolescenti, da adulti ci segnano profondamente e costituiscono quel nucleo affettivo profondo nel quale si vive maggior o minor serenità, fatica, tribolazione, chiusura o disponibilità positiva.L’amore e l’amicizia o comunque le relazioni umane degne di questo nome proprio perché sono decisive, sono delicate e per questo esposte alla fragilità, al fraintendimento; i loro vissuti alimentano forza interiore, rassicurazione, conferme, serenità, disponibilità, ma ugualmente possono risentire anche di incomprensioni, sconferme, durezze, ferite.Niente è più positivo di relazioni umane positive; niente è più doloroso delle tribolazioni e sofferenze nelle relazioni. Si può chiudersi; si può ferire; trovare chiusure e ricevere ferite; c’è questa reciprocità nel bene e nel male; a tutti sono richieste fiducia e apertura.Non è facile ridare fiducia dopo le ferite subite; come non lo è chiedere perdono per quelle inferte. E’ importante la disponibilità: fra due persone che si amano; fra due persone amiche e fra un gruppo di amici; in una comunità, in un progetto e nell’organizzazione del volontariato; in una comunità cristiana.Il Vangelo di questa domenica (Matteo 18,15-20) propone una sorta di pedagogia degli atteggiamenti e dei comportamenti per la correzione fraterna.Il riferimento è alla comunità cristiana primitiva, piccola per il numero dei partecipanti, attraversata da vissuti positivi e da difficoltà a noi conosciute, quindi possibile rifermento anche per noi oggi in un contesto sociale e culturale così diverso.Il Vangelo indica una sorta di strategia per il recupero di relazioni che sperimentano la difficoltà.Si ipotizza un primo passaggio: ricevuta una ferita: “se un tuo fratello ti fa del male”, l’invito è di “andare a trovarlo e mostrargli il suo errore, ma senza farlo sentire ad altri; se ti ascolta, avrai recuperato tuo fratello”. Un atteggiamento e un movimento attivo che richiedono sensibilità, coraggio, fiducia nella possibilità di un incontro e di un dialogo che favoriscano il recupero del rapporto; che evitino il coinvolgimento strumentale e improduttivo, anche peggiorativo di altre persone.In successione, si ipotizza un secondo passaggio: “Se invece non vuole ascoltarti, fatti accompagnare da una o due persone, perché sia fatto come dice la Bibbia: “Ogni questione sia risolta mediante due o tre testimoni”.Questo atteggiamento di fondo e questa iniziativa pare possano attuarsi quando si superano i personalismi, quando ci si libera dalla volontà di prevalere, di avere ragione, di dire l’ultima parola; quando si avverte di fondamentale importanza il recupero di rapporti sereni, quando quel piccolo gruppo di persone è animato dall’attenzione al bene costituito da relazioni costruttive e significative fra persone che curino e rimarginano le ferite, che elaborino in prospettiva positiva le situazioni difficili.Se anche questa seconda ipotesi non avvia ad una ricomposizione si sollecita “a riferire il fatto alla comunità dei credenti”. Ma perché questa esperienza sia possibile, appare chiaro che la comunità dovrebbe essere composta da persone disponibili a capire, a correggere con amorevolezza senza assurgere a giudici, a incoraggiare anziché estromettere.Viene spontaneo riferirsi, ad esempio, ai club degli alcolisti in trattamento; alle ferite personali e familiari; alla comunicazione a poco a poco veritiera; all’aiuto reciproco che la condivisione della medesima situazione stimola e sostiene. Il Vangelo poi mette in relazione cielo e terra in una connessione vincolante; dal cielo viene la luce e la forza; ma poi il cielo può solo confermare quelle che sono le scelte compiute da noi sulla terra.L’affermazione con cui si conclude il brano del Vangelo ci provoca: “E ancora, vi assicuro che se due di voi, in terra, si troveranno d’accordo su ciò che debbono fare e chiederanno aiuto nella preghiera, il Padre mio che è cielo glielo concederà. Perché se due o tre si riuniscono per invocare il mio nome io sono in mezzo a loro”. Di nuovo ritorna l’interrogativo: quale Dio si prega? Come può essere presente Dio se alcuni pregano il Dio dei ricchi e altri dei poveri; alcuni il Dio della guerra e altri il Dio della pace; alcuni il Dio del razzismo e altri quello dell’accoglienza? Si può invocare solo il Dio di Gesù: cioè della giustizia, della pace, dell’accoglienza, del perdono; il Dio che vuole l’umanità unita in una sola e multiforme famiglia umana.