Nella storia delle fedi religiose c'è sempre stato e continua ad esserci un rapporto dialettico tra fede e religione, fra profezia e istituzione. L'aspetto istituzionale è parte dell'incarnazione della storia, ma corre costantemente il pericolo di diventare così evidente, ingombrante e opprimente da soffocare la dimensione dell'interiorità, della spiritualità, dell’idealità.La profezia è la coerenza con la profondità dell’essere e delle sue esigenze, ma non in astratto, bensì nei drammi e nelle speranze, nelle negazioni e nelle aspirazioni della storia, concretamente nelle storie delle persone, delle comunità e dei popoli. E le donne, gli uomini e le comunità profetiche sono tali perché vivono con tale profondità le condizioni del presente da denunciare con forza tutte le condizioni che offendono, sminuiscono, colpiscono la dignità delle persone; da annunciare e indicare le strade dell’alternativa, del cambiamento; da vivere con coerenza la prospettiva che propongono. Di conseguenza i profeti sono avvertiti disomogenei alle istituzioni, specie quando si arroccano nel potere e nelle sue degenerazioni di arroganza, di privilegio, di corruzione, di oppressione; quando si rinchiudono nell’ortodossia intoccabile e nella disciplina indiscutibile.I profeti vivono l’incomprensione e l’isolamento, le critiche e la maldicenza. Ritrovano, alle volte con forte tribolazione dell’anima, la forza per continuare e perseverare, dall’ispirazione e dalla guida dello Spirito, dalla fedeltà alle persone e alle comunità, dal non poter fare a meno di esserci, di denunciare, di annunciare, di vivere con coerenza, pena il venir meno del senso stesso della propria esistenza. Il Vangelo di questa domenica (Marco 6,1-8) ci presenta Gesù profeta rifiutato nel paese di origine e di crescita.Dopo l’esperienza profonda dell’incontro con la donna che soffriva di perdite di sangue e della ragazzina figlia di Giairo, capo della sinagoga, certamente con i segni interiori che questi incontri hanno lasciato anche in lui, Gesù ritorna a Nazaret con i suoi discepoli; di sabato è presente nella sinagoga e comincia ad insegnare. E’ molto importante evidenziare come il suo insegnamento sia sempre intrecciato con la vita e le storie delle persone, parte del rapporto fra Dio e l’umanità, quel Dio che lui rende presente con le sue parole e i suoi gesti. L’autorevolezza del suo insegnamento è la profondità e la fedeltà di Dio; è l’amore alla vita delle persone nella concretezza delle loro storie. Ma molti che ascoltano Gesù si meravigliano del suo insegnamento; pare loro impossibile che quell'uomo di cui conosco la famiglia e le attività pretenda ora di assurgere a maestro. Il profeta non è accolto perché è disomogeneo, perché provoca riflessione e chiede cambiamento. “Per questo non volevano più sapere di lui”. E Gesù dice: “Un profeta è disprezzato soprattutto nella sua patria, tra i suoi parenti e nella sua famiglia”. Quante volte abbiamo ascoltato: “Ma chi crede di essere quella persona, intellettuale, scrittore, religiosa, prete? Chi mai pretendevano di essere nella Chiesa don Mazzolari, don Milani, p. Turoldo, p. Balducci, don Tonino Bello e altri? Cosa pretendeva il vescovo Romero, sospettato e criticato dalla Chiesa legata al potere oligarchico e militare; anche dal Vaticano stesso?Si può leggere una documentazione impressionante di tutti gli interventi che dal 1978 al 2003, quindi nei 25 anni di papa Wojtyla sono stati fatti dal Vaticano, in particolare dalla Congregazione per la dottrina della fede su vescovi, teologi, teologhe, preti, religiosi/e per reprimerne la ricerca teologica o le posizioni considerate non conformi all’ortodossia e alla disciplina. Quello che colpisce, insieme alla quantità, è la preoccupazione della dottrina, non della testimonianza di vita, del coinvolgimento con i poveri, le vittime, gli esclusi. Ma Gesù, profeta, non ha portato una nuova dottrina, bensì un nuovo modo di vivere.