LA RIFLESSIONE DI PIERLUIGI DI PIAZZA
Resta sempre aperta, con interrogativi dolorosi, con domande sospese, senza risposte per lo meno rapide ed esaurienti, la questione del dolore, della sofferenza, causati da diverse motivazioni, e della morte nei tempi e nei modi differenziati con cui si concretizza. Di come, cioè, si possa riprendere alcuni segni, alcune ragioni di speranza; rientrare poco a poco in una dinamica positiva della vita; riaprire la disponibilità, ritrovare forza interiore per le decisioni e le dedizioni generose e gratuite al bene comune. Ci si chiede persone, famiglie, comunità, popoli come uscire dalla prostrazione, dalla mancanza di futuro. Il Vangelo che si medita in questa domenica (Luca 24, 13-35) ci comunica a questo proposito un messaggio di straordinaria attualità. Due discepoli di Gesù escono dalla città di Gerusalemme diretti al villaggio di Emmaus.Sono tristi, addolorati e desolati per l’uccisione violenta e tragica del Maestro.“Lungo la via parlano fra loro di quello che era accaduto a Gerusalemme in quei giorni”. Come noi quando abbiamo commentato e commentiamo situazioni dolorose e difficili. Spesso le parole sono poche, i silenzi lunghi, lo sconforto diffuso, come l’incredulità e il senso di impotenza. Ad un tratto, Gesù si avvicina e si mette a camminare con loro, ma “essi non lo riconoscono, perché i loro occhi sono accecati”. Quando il dolore è grande e opera come una devastazione interiore non si riescono a scorgere, o comunque è molto difficile, i segni di speranza, né ad ascoltare subito con fiducia parole di incoraggiamento anche se profonde e sincere. Lo sconosciuto pare proprio venga da lontano o sia così esterno alle situazioni, per i due discepoli invece così drammaticamente importanti; infatti, non sa nulla della vicenda di Gesù che loro gli spiegano, perché è depositata nel profondo del loro cuore: è passato facendo il bene; è stato ucciso con decisione dei capi religiosi e dei notabili del popolo. Aveva promesso che la sua vita sarebbe continuata anche dopo la morte. Di questa promessa non c’è nessun segno, anche se, aggiungono i due, sono stati sconvolti dal racconto di alcune donne del loro gruppo: andate di buon mattino al sepolcro, non hanno trovato il suo corpo; ma alcuni angeli le hanno rassicurate che Gesù è vivo. Altri del gruppo allora si sono recati al sepolcro; hanno costatato che il corpo di Gesù non c’era, ma lui non lo hanno incontrato. E affermano: “Noi speravamo che fosse lui a liberare il popolo d’Israele”. Questa affermazione raccoglie in modo pregnante e anche drammatico, le delusioni, le sconferme, le sconfitte della vita e della storia.Noi speravamo che la nostra vita, per quanto riguarda le relazioni di amore e di amicizia, si sarebbe svolta in un modo più positivo; che non ci fosse in essa l’esperienza dolorosa della morte di padri, madri, figli, familiari; che malattie così dolorose e incidenti così tragici non segnassero la vita; che l’esperienza del lavoro fosse più positiva e soddisfacente; che non terminasse in modo così drammatico con i licenziamenti; speravamo che a livello culturale, etico, politico l’evoluzione positiva crescesse con continuità; che movimenti e rivoluzioni storiche importanti non si arrestassero né confermassero nelle loro attuazioni storiche i principi ispiratori; che le uccisioni per l’ingiustizia, la fame, la sete diminuissero; che le armi e le guerre cessassero di essere considerate lo strumento di risoluzione dei conflitti; che si attenuassero discriminazioni, xenofobia e razzismo; che crescesse in modo più significativo la coscienza della custodia di tutti gli esseri viventi, la considerazione dei beni comuni, a cominciare dall’acqua, come diritto di tutti, sempre per tutti. Noi speravamo nella Chiesa del Concilio Vaticano II, spesso dimenticato. Appunto, noi speravamo. E invece, spesso la delusione.Gesù continuando a camminare con loro, li richiama alla memoria storica e religiosa, alle prospettive che lo riguardavano già indicate dai profeti. Come a dire, a noi, oggi, nei momenti di sconferma, di tristezza, di perdita di speranza, di riprendere la testimonianza fedele e concreta di persone, comunità, popoli che in situazioni estreme hanno trovato la forza per reagire, riprendere a vivere con significato, dedizione e impegno.Se loro hanno potuto e sono riusciti, perché noi non possiamo ugualmente? Gesù, arrivati al villaggio, fa finta di voler continuare il viaggio. Loro gli chiedono di fermarsi. Non lo hanno ancora riconosciuto anche se, come poi testimonieranno, durante il tragitto nel loro cuore riprendevano a muoversi le ragioni della speranza e della vita. Seduti ad una tavola, la preghiera e lo spezzare il pane di Gesù inconfondibili, aprono loro gli occhi e lo riconoscono, ma lui li saluta e se ne và, come a dirci che è sempre e di nuovo da cercare. Le indicazioni pedagogiche sono dunque queste, per favorire la ripresa della fiducia: camminare insieme a Gesù di Nazaret, alle persone amiche, in sintonia; a tutta l’umanità; comunicare in modo profondo, sincero, autentico; spezzare il pane insieme, cioè essere disponibili alla concreta prossimità e condivisione.